antologia di testi di San Girolamo
dalla Lettera 14 Il sacerdote
Dio mi guardi dal parlare male di loro: sono i successori degli Apostoli, e consacrano con la loro bocca il Corpo di Cristo. È tramite loro che noi siamo cristiani; essi, in certo modo, giudicano prima del giorno del giudizio, perché posseggono le chiavi del regno dei cieli, e con la loro vita casta conservano intatta la Sposa di Cristo. Ma la vocazione del monaco, l'ho già spiegato, è diversa da quella dei chierici. I chierici pascolano le pecore, io monaco sono condotto al pascolo. Loro vivono dell' altare; quanto a me, la scure è posta alla radice dell' albero sterile, se non porto la mia offerta all' altare. Se le pie sollecitazioni dei fratelli t'invitano ad accedere a quest'Ordine sacerdotale, mi rallegrerò della tua esaltazione, ma starò in trepidazione per la tua caduta. Tu pensi a Pietro, ma guarda anche a Giuda! Tu hai in mente Stefano, ma ricorda anche Nicola, detestato dal Signore nella sua Apocalisse! Non è la dignità ecclesiastica che fa cristiani.Non è facile stare nella posizione di Paolo, od occupare il grado di coloro che regnano ora con Cristo. Se t'accingi a costruire una torre, fa' prima il calcolo delle spese. Se cade un monaco, ci sarà il sacerdote a pregare per lui; ma se cade il prete, chi pregherà per lui?
dalla Lettera 120 Lo Spirito Santo.
9.Il primo giorno della resurrezione (gli Apostoli) ricevettero la grazia dello Spirito Santo con cui potevano rimettere i peccati, battezzare, fare dei figli di Dio, e dare a quanti avrebbero creduto lo spirito di adozione, in quanto lo stesso Salvatore aveva detto: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e saranno ritenuti a chi li riterrete».Il giorno di Pentecoste, invece, la promessa fu più ampia: sarebbero stati battezzati nello Spirito Santo; si sarebbero rivestiti della forza per poter predicare il Vangelo di Cristo a tutte le nazioni; avrebbero avuto il potere di operar miracoli e la grazia delle guarigioni; e dovendo essi predicare in molte nazioni, avrebbero ricevuto il dono delle lingue in modo che potessero sapere fin d’allora in quali nazioni ciascun Apostolo avrebbe dovuto portare il Vangelo… Giovanni e Luca non sono affatto in disaccordo per aver detto, il primo, che lo Spirito Santo fu dato il primo giorno della resurrezione, e per aver notato, l’altro, che venne cinquanta giorni dopo. Si tratta di una progressiva perfezione che toccava gli Apostoli. Costoro avevano ricevuto, dapprima, la grazia di rimettere i peccati, mentre la seconda volta avevano ricevuto il dono di far miracoli e tutte le altre diversità di doni.
dalla Lettera 148 Il digiuno (1)
22.Bada a non ritenerti già santa solo perché magari hai cominciato a digiunare e a fare astinenza. Questa virtù, infatti, è solo un aiuto per arrivare alla santità, ma non ne costituisce la perfezione. Soprattutto, però, sta' attenta a non ritenerti ormai salvaguardata dalle cose illecite solo per il fatto che disprezzi anche quelle lecite.Tutto ciò di cui fai dono a Dio e che è al di là del puro dovere di giustizia non deve impedirti la giustizia, ma aiutarla.A cosa ti servirebbe indebolirtì il corpo con l'astinenza se poi l'animo si gonfia di superbia? L'essere emaciati dal digiuno ci può forse fruttare qualche merito quando siamo lividi per la gelosia? È forse una virtù non bere vino, quando poi siamo ubriachi di collera e di odio? Voglio dire, insomma, che l'astinenza è una cosa eccellente e che la mortificazione del corpo è una cosa bella e meravigliosa solo quando si accompagnano a un'anima digiuna dai vizi. Dico di. più: quelli che lodevolmente e coscientemente abbracciano la virtù dell' astinenza trattano male il proprio corpo appunto per spezzare la superbia dell'anima, per riuscire a scendere - si direbbe - da una posizione di indifferenza o di presunzione e poter compiere la volontà di Dio, che trova la sua perfezione soprattutto nell'umiltà.
dalla Lettera 22 Il digiuno (2)
«Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t'arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione della spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: "Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore" (Is 58, 5), e ancora: "Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese; voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore?" (Is 58, 3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l'ira, non dico un'intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa, non fondare la tua gloria sulla caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione»
dalla Lettera 148 La vera grandezza
21. La nostra religione non tiene conto delle persone e non guarda qual è la condizione degli uomini ma il loro animo; uno lo classifica, o schiavo o nobile, in base ai suoi costumi. In Dio esiste un unico concetto di libertà: il non essere schiavi dei peccati; e, sempre secondo lui, la nobiltà più alta è costituita dall'eccellenza delle virtù. Davanti a Dio c'è forse un uomo più nobile di Pietro? E tra le donne chi è più ragguardevole della beata Maria che pure ci viene presentata come sposa d'un artigiano? Eppure a quel povero pescatore Cristo affidò le chiavi del regno dei cieli, e quella sposa d'un artigiano meritò di essere la Madre di colui che diede in mano a Pietro quelle stesse chiavi. In verità Dio ha scelto le cose più comuni e meno apprezzabili di questo mondo per portare all'umiltà i potenti e i nobili. D'altra parte, è perfettamente inutile che uno si faccia un vanto della nobiltà della propria famiglia, dal momento che tutti quelli che sono stati redenti dal medesimo sangue di Cristo hanno, davanti a Dio, pari onore e identico prezzo. E non conta la condizione in cui si è nati quando tutti rinasciamo eguali in Cristo. Ora, se anche possiamo dimenticare che discendiamo tutti per generazione da un unico uomo, dobbiamo per lo meno ricordarci sempre che chi ci rigenera tutti è Uno solo.
dalla Lettera 148 Le critiche
16. Non calunniare mai nessuno nel modo più assoluto, e non cercare di farti bello mettendoti a criticare gli altri, e impara a rendere più perfetta la tua vita piuttosto che denigrare quella degli altri. Questo difetto devi evitarlo al punto che non solo non devi permetterti di criticare, ma non devi dar retta neppure una volta a chi critica, per non rafforzare con la tua complicità l'influenza di chi sparla degli altri, e per non favorire con la tua accondiscendenza il suo vizio.Questo difetto è senz'altro il primo che dobbiamo soffocare, e quelli che vogliono formarsi alla santità devono sradicarlo del tutto.Non c'è altra cosa, infatti, che metta l'anima in tanto subbuglio e che renda lo spirito tanto volubile e leggero quanto il prestar fede con facilità a tutto, e dar retta temerariamente alle parole dei criticoni. È di lì che saltano fuori discordie su discordie e sentimenti di odio e proprio questo difetto rende nemiche delle persone che erano amiche per la pelle.Al contrario, il non dar retta temerariamente a nessuna accusa a carico di altri lascia l'anima in una grande pace ed è segno di notevole serietà di vita.
dalla Lettera 15 Il Papa e la Chiesa
1. Delle volpi devastano la vigna di Cristo; in mezzo a cisterne spaccate e senz’acqua è difficile capire ove si trovi quel fonte sigillato, quell’orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura. Per questo ho deciso di consultare la Cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca d’un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo (il battesimo). 2. La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà m’attira. Io, come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell’altissima dignità romana: è col successore del pescatore e con un discepolo della croce che desidero parlare. Io non seguo altro primato che quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la Cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell’Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell’arca di Noè, perirà durante il diluvio. Chi non raccoglie con te, disperde; vale a dire: chi non è di Cristo è dell'Anticristo
dalla Lettera 148 La preghiera
24. Per la tua casa devi spendere ogni energia, riservandoti però qualche momento di respiro per l’anima. Trovati un posticino adatto, alquanto discosto dal viavai familiare, dove tu possa raccoglierti come in un porto dopo tutto il trambusto tempestoso degli affari domestici, e dove possa comporre in intima tranquillità le mareggiate dei pensieri che ti agitavano nella vita esteriore. Lì devi applicarti alla Scrittura divina, prendere e riprendere a pregare a vari intervalli, pensare alle realtà future con costanza e intensità. Quanto, di tutto questo? Quel tanto che tutte le occupazioni del tempo che ti resta possano trovar adeguato compenso in questo riposo dell’anima. E non te lo dico, questo, per rubarti ai tuoi di famiglia; anzi, è appunto perché tu possa pensare e riflettere, in quei momenti, a come dovresti comportarti verso i tuoi.
dalla Lettera 147 Ministri indegni
Nella misura in cui il vescovo che ti ha ordinato è degno di approvazione, tu sei tanto più odioso per aver preso in giro un uomo come lui.Di solito noi siamo gli ultimi a sapere i guai di casa nostra; magari i nostri vicini vanno già raccontando a tutti i vizi dei nostri figli e delle nostre mogli, e noi ne siamo ancora perfettamente all' oscuro. Tutta l'Italia sapeva il tipo che eri, e non c'era uno che non lamentasse il fatto che tu stessi davanti all' altare di Cristo. Avevi il fuoco addosso, e la voluttà ti trascinava ora in un senso ora in un altro perché eri continuamente in fregola, un lussurioso sfrenato…Che schifo! Non riesco ad andare avanti; ogni parola mi viene bloccata da un singhiozzo, e un misto di rabbia e di dolore mi serra la gola da sentirmi soffocare…Abbi pietà dell'anima tua, ti prego! Credi nel giudizio futuro di Dio e non dimenticare le virtù di quel vescovo che t'ha ordinato diacono. È strano, forse, che per quanto fosse un santo abbia potuto ingannarsi nella scelta d’un individuo? Non s'è pentito anche Dio d'aver unto re Saul? Tra i dodici Apostoli non s'è trovato un Giuda traditore?...A un certo momento ti butti alle mie ginocchia, e mi chiedi che ti risparmi - per dirla con le tue parole - di batterti a sangue. Non ti curi affatto, miserabile, del giudizio di Dio! Tu hai solo paura di me, come se fossi io l'incaricato di far giustizia!...T'ho perdonato, sì, lo confesso. Come cristiano cos' altro avrei potuto fare? T'ho esortato a far penitenza, a metterti addosso un cilizio e a cospargerti di cenere, ad andartene in un deserto per chiuderti in un monastero, e a meritarti la misericordia di Dio con lacrime continue…E tu? Infiammato dagli stimoli del serpente hai fatto di te stesso un arco di perversità per scagliare contro di me le frecce della maldicenza. Per averti parlato nella verità ti sono diventato nemico, vero?...Non c’è cosa che faccia più resistenza a Dio d’un cuore che non vuole pentirsi; è l’unica colpa che non può ottenere perdono.In realtà, chi smette di fare peccati, malgrado abbia commesso peccato viene perdonato; chi prega riesce a piegare il giudice; chiunque rifiuta di pentirsi, invece, provoca la collera del giudice…Anche tu potrai riacquistare la vista se ripeterai lo stesso grido (“Figlio di Davide, abbi pietà di me!”) e se, una volta chiamato da lui, getterai via i tuoi sporchi vestiti.Quando fra i gemiti ti convertirai, sarai salvo, ed allora ti renderai conto in quale stato ti trovavi.
dalla Lettera 107, a Leta. L'educazione
4. Ed ecco il metodo pedagogico per un’anima che deve diventare tempio del Signore.Si abitui a non sentire nulla, a non parlare di nulla che non la porti al timor di Dio. Non deve sentir pronunziare parole volgari, deve ignorare le canzonette del mondo; la sua lingua, mentre è ancora tenera, deve impregnarsi della dolcezza dei Salmi.Le si facciano dei caratteri alfabetici o di bosso o d’avorio, e glieli si indichino col loro nome rispettivo. Ci si diverta pure: anche il gioco, così, le serve per istruirsi. Quando mette assieme le sillabe, le si dia un premio; anzi la si stimoli a farlo con quei regalucci che possono farle piacere alla sua età.Se è piuttosto lenta, non bisogna maltrattarla; le si deve stimolare la mente con dei complimenti. Per le difficoltà superate deve essere contenta, e deve sentir dolore quando non ci riesce.Bisogna stare attenti, soprattutto, che non prenda in uggia lo studio, per evitare che l’amarezza, se la risente fin da bambina, le perduri poi anche dopo questi anni informi. Il maestro deve essere raccomandabile per età, per condotta e per sapere. Non bisogna svalutare — come fossero di poco conto — quelle piccole cose senza le quali, però, non potrebbero esistere neanche le grandi.Insomma, non impari alla sua tenera età cose che dovrebbe poi disimparare.E difficile cancellare ciò di cui le menti ancora vergini si sono impregnate.La balia, anche lei, non deve essere una che alza troppo il gomito, un’impudica e chiacchierona; la bambinaia che le sta accanto sia modesta, e il suo precettore sia una persona posata.
dalla Lettera LXIX, 8-9 Il vescovo
«Se uno desidera l’episcopato, desidera una carica buona» (1Timoteo 3,1): è una carica, non una dignità; è una fatica, non un piacere; è una carica che lo dovrebbe portare ad abbassarsi umilmente, non a gonfiarsi per aver raggiunto una vetta. «Bisogna che sia irreprensibile» (1Timoteo 3,2): Si vuole accettare un vescovo in piena regola? Si veda anzitutto se la sua condotta è irreprensibile, poi la lingua. Se uno, infatti, razzola in modo da distruggere quello che dice, perde tutta l'autorità di maestro.«Capace di insegnare» (1Timoteo 3,2): Dai vescovi, inoltre si esige anche la scienza. Effettivamente una condotta su cui non c'è nulla da ridire, ma è muta, se è di qualche utilità per l'esempio che dà, non è meno dannosa per il silenzio. La rabbia furiosa dei lupi deve essere messa a tacere dai latrati dei cani e dal bastone del pastore...
dalla Lettera 96 Vita Cristiana
Carissimi fratelli: ora che abbiamo rigettato le dottrine perverse e che abbiamo scartato i trabocchetti dei passi della Scrittura che chiamano apocrifi, ossia segreti («non ho parlato in segreto», dice invece il Signore),rinnovo ancora a più riprese l’invito di celebrare le feste della passione del Signore.Conformiamoci in ogni circostanza alla sua bontà; emendiamoci degli errori facendo penitenza; preghiamo per i nostri nemici ed eleviamo suppliche per coloro che parlano male di noi, seguendo l’esempio di Mosè che con le sue preghiere cancellò la colpa della sorella che sparlava di lui. Laviamo le macchie dei nostri peccati con l’olio dell’elemosina.Quando succede che ci viene affidato un potere giudiziale, ed è affidato a noi il processo di nostri fratelli in lite tra di loro, non lasciamoci influenzare dalle persone, ma dai fatti in se stessi.Qualcuno sta andando in rovina o si trova sotto prova? Anche noi mettiamoci sul suo stesso piano, spinti dall’affetto.Le leggi siano regolate dalla verità. La nostra carità sia incline alla misericordia, non insultando chi pecca, ma avendo compassione, perché è facile scivolare nei vizi, e la fragilità della natura umana deve far temere a ciascuno quanto scorge in un altro.Ma al di sopra di tutto questo, con l’anima piena di timore, conserviamo la pietà verso Dio, che rappresenta il culmine e la corona delle virtù; esecriamo il politeismo, e professiamo l’unica e indivisa natura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale siamo stati battezzati ed abbiamo ricevuto la vita eterna. E se la clemenza di Dio ce lo concederà, meriteremo di celebrare la Pasqua del Signore con gli angeli.
da "Contro Elvidio. La perenne verginità di Maria", 19 Maria e Giuseppe
Come non neghiamo le cose che sono state scritte, cosi rifiutiamo quelle che non sono state scritte.Crediamo che Dio sia nato da una vergine poiché l’abbiamo letto; non crediamo che Maria abbia contratto nozze dopo il parto, perchè non l’abbiamo letto.Certo non diciamo questo per condannare le nozze, poiché la verginità stessa è frutto di nozze, ma perché non ci sia possibile fare considerazioni fuor di proposito riguardo a uomini santi.Giacché, guardando alla possibilità in sé, potremmo affermare che Giuseppe abbia avuto più spose, dal momento che ne ebbero più di una Abramo e Giacobbe, e che da tali spose siano nati i fratelli del Signore, il che molti si immaginano con temerarietà non tanto pia quanto audace.Tu dici che Maria non rimase vergine; quanto a me, sostengo per di più che Giuseppe stesso fu vergine per mezzo di Maria, così che da nozze verginali nacque un Figlio vergine.Giacché, se la fornicazione è fuor di luogo in un uomo santo, e non sta scritto che egli abbia avuto un’altra sposa, egli fu allora piuttosto custode che marito di Maria, che si riteneva avesse in sposa: e altro non resta che rimanesse vergine con Maria colui che meritò di essere chiamato padre del Signore.
dalle Omelie sul Vangelo Vocazione (1)
Poco più avanti vide Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni che se ne stavano sulla barca a riparare le reti. Subito li chiamò, ed essi, lasciato il padre Zebedeo con gli aiutanti sulla barca, lo seguirono.Qualcuno potrebbe dire:Ma è una fede pazzesca questa.Avevano assistito a qualche fatto straordinario? Quale maestosità avevano visto in lui da seguirlo subito appena chiamati?Qui, sicuramente, ci viene dato da capire che anche gli occhi di Gesù e il suo volto spiravano un alcunché di divino, tale da convertire facilmente chi buttava lo sguardo su di lui. Non si spiega altrimenti perché l’abbiano seguito solo perché Gesù ha detto loro «seguitemi».La realtà è questa, che se l’avessero seguito senza una ragione plausibile, più che di fede bisognerebbe parlare di temerarietà.Facciamo il caso che io me ne stia tranquillamente seduto, e un passante qualunque mi dica: vieni e seguimi, e io gli vado dietro, si può forse parlare di fede?Cosa voglio dire, insomma? Che la parola del Signore è di per se stessa operativa: qualunque cosa dicesse, si effettuava.Se è vero infatti che «ciò che lui ha detto si è subito realizzato, gli è bastato comandare per creare» (Sal 148, 5): qui è sicuramente successa la stessa cosa: lui li ha chiamati, e di conseguenza essi l’hanno seguito.
dalla Lettera 118 Vocazione (2)
Non vorrei che al Signore offrissi solo le cose che un ladro può rubarti, che un nemico ti può saccheggiare o che puoi perdere con un esilio.Queste cose vanno e vengono; sono come delle ondate, come dei flutti: se ne impossessano successivamente padroni sempre diversi. Insomma - per esprimermi con una sola frase comprensiva di tutto - sono cose, quelle, che, voglia o non voglia, quando muori te le lasci dietro.Offrigli invece ciò che nessun nemico ti può portar via e che nessun tiranno ti può strappare, ciò che potrà seguirti agl’inferi o piuttosto nel regno dei cieli, nella gioia del paradiso.
dalle Omelie per il giorno di Pasqua La Pasqua
«Questo è il giorno che ha fatto il Signore: esultiamo e rallegriamoci».Allo stesso modo che Maria, vergine e madre del Signore, tiene il primo posto fra tutte le donne, così a confronto con gli altri giorni questo è madre di tutti gli altri.Quello sbarramento del paradiso, difeso dalla spada infuocata, che finora nessuno aveva potuto aprire è stato oggi sfondato da Cristo col ladrone e quelle porte una volta aperte non si chiuderanno mai più ai credenti.Dal momento della passione del Signore fino ad oggi quella porta è sempre chiusa e nello stesso tempo aperta: chiusa per i peccatori e i non credenti, aperta per i giusti e i credenti.Vi è passato Pietro, vi è passato Paolo, vi sono passati tutti i santi e i martiri, vi passano ogni giorno da tutto il mondo le anime dei giusti.Le porte sono due: la porta del paradiso e la porta della Chiesa. Attraverso la porta della Chiesa entriamo in quella del paradiso.
dalle Omelie sul Vangelo di Marco Battesimo di Gesù
E fu battezzato nel Giordano da Giovanni. Straordinario atto di umiltà: Gesù, che non aveva peccati, viene battezzato come se fosse un peccatore. È nel battesimo del Signore che vengono rimessi tutti i peccati. Ma il battesimo di Giovanni è in certe modo una introduzione al battesimo del Salvatore. Resta vero, però, che l'autentica remissione dei peccati avviene nel sangue di Cristo, nel mistero della Trinità.E mentre usciva dall'acqua, Gesù vide il cielo spalancarsi. Tutto ciò che l'evangelista scrive, lo scrive per noi. Vuol dire dunque che noi, prima di ricevere il battesimo, abbiamo gli occhi chiusi e non vediamo le realtà celesti.E vide lo Spirito sotto forma di colomba scendere e arrestarsi su di lui. E una voce venne dal cielo: Tu sei il figlio mio prediletto, in te mi ritrovo.Gesù Cristo viene battezzato da Giovanni, lo Spirito Santo scende su di lui sotto forma di colomba, il Padre gli rende testimonianza dal cielo. Prendi nota, seguace di Ario, prendete nota voi eretici, come anche nel battesimo di Gesù c'è tutto il mistero della Trinità: è Gesù che viene battezzato, lo Spirito Santo discende sotto forma di colomba, il Padre parla dal cielo.
dalla Lettera XLIII Vita dissipata
2. … basta che protraiamo la lettura (della Sacra Scrittura) che ci viene da sbadigliare, da reprimerci lo stomaco, da stropicciarci la faccia con le mani; e come se avessimo già lavorato troppo, ci ributtiamo in occupazioni profane.Non parlo poi dei pranzi che ci aggravano la pesantezza dell' anima. E mi fa pure vergogna parlare delle visite così frequenti, sia di quelle che ogni giorno rendiamo agli altri, sia di quelle che riceviamo in casa nostra. In esse si finisce per parlottare, la conversazione va per le lunghe, si tagliano i panni agli assenti, passiamo in rassegna la vita altrui... e rosicchiandoci l'un l'altro finiamo di ingoiarci a vicenda.E questo è il cibo con cui ci intratteniamo e ci congediamo. Quando poi gli amici se ne sono andati, regoliamo i conti anche con loro! Un giorno è l'ira a farci fare la parte del leone, e un' altra volta è un affanno proprio inutile, dato che ci impensierisce troppo in anticipo su problemi che dovrebbero essere centellinati in parecchi anni: e non ci succede mai di pensare alle parole del Vangelo: «Pazzo che sei! Questa stessa notte ti verrà chiesta l'anima; di chi saranno i beni che hai accumulato?». Si va in cerca di vestiti non per lo scopo cui servono, ma per civetteria. C'è in vista un guadagno da qualche parte? I piedi mettono le ali, la. lingua si anima, si tende l'orecchio. Se ci mettono al corrente: di qualche dissesto - come può succedere spesso in economia domestica - il volto s'oscura di tristezza. Saltiamo dalla gioia per uno scudo guadagnato, e poi la perdita di un obolo ci butta a terra. Che alternanza di umori nella stessa persona! Per questo il Profeta supplica il Signore con queste parole: «o Signore, fa' scomparire dalla tua città la loro immagine!». Se è vero, infatti, che siamo stati modellati a immagine e somiglianza di Dio, sono i nostri vizi a metterci addosso tante maschere. Proprio come nelle rappresentazioni teatrali: l'attore è sempre il medesimo; ma ora, robusto, ti incarna Ercole; ora, effeminato, si muta in Venere ed ora si atteggia timidamente a Cibele.Così è per noi: sono tanti i nostri peccati? E di altrettante maschere, rispettivamente simili, ci rivestiamo.
catechesi di Papa Benedetto XVI
mercoledì 7 novembre 2007
PRIMA UDIENZA GENERALE
DEL PAPA BENEDETTO XVI
SU SAN GIROLAMO
Cari fratelli e sorelle!
Fermeremo oggi la nostra attenzione su san Girolamo, un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere, e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura..
Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l'attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l'interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Chron. ad ann. 374)riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l'Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep.14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell'ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7), e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace "visione", della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).
Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la loro conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobil donne impararono anche il greco e l’ebraico.
Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un'intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.
La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell'Antico Testamento.
Tenendo conto dell'originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta "Vulgata", il testo "ufficiale" della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo "ufficiale" della Chiesa di lingua latina.
E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, "anche l’ordine delle parole è un mistero" (Ep. 57,5), cioè una rivelazione. Ribadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all'originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l'Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l'ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2).
Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contra Rufinum 1,16).
Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l'importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus,un'opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l'ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell'importante Epistolario,un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e di guida delle anime.
Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice San Girolamo: "Ignorare le Scritture è ignorare Cristo". Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev'essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell'individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell'ascolto della Parola di Dio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l'eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l'eterno, la vita eterna.
E così concludo con una parola di San Girolamo a San Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l'eternità, la vita eterna. Dice San Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).
mercoledì 14 novembre 2007
SECONDA UDIENZA GENERALE
DEL PAPA BENEDETTO XVI
SU SAN GIROLAMO
Cari fratelli e sorelle!
Continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell'interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l'importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare - già qui, sulla terra - nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient'altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del Cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo». E' sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).
Veramente "innamorato" della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi, - egli scrive a una nobile giovinetta di Roma - tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep. 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l'uomo saggio e sereno (cfr In Eph., prol.). Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un'applicazione costante e progressiva. Così Gerolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare (Ep. 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l'educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep. 107,9.12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l'equilibrio dell'anima» (Ad Eph., prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l'aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell'interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (In Mich. 1,1,10,15).
Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep. 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep.125,11).
Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell'interpretazione delle Scritture era la sintonia con il magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il "noi" nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per lui un'autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva: "Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep. 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva - deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep. 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep.16).
Girolamo ovviamente non trascura l'aspetto etico. Spesso anzi egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina e solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano, e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: "Perché dunque proprio tu non agisci così?". Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l'avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep. 52,7). In un'altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep. 127,4). Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l'anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep. 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep.130,14). L'amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l'unione con lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep.22,40).
Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Carmen de ingratis, 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull'ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l'ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15), e soprattutto l'obbedienza a Dio: «Nulla... piace tanto a Dio quanto l'obbedienza..., che è la più eccelsa e l'unica virtù» (Hom. de oboedientia: CCL 78,552). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep.108,14).
Non può essere taciuto, infine, l'apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfrEpp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un'anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep. 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep.107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr Ep. 107,4 e 8-9; cfr anche Ep. 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l'emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola - «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep. 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un'esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all'esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l'esempio che con la parola» (Ep. 107,9).
Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l'importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l'urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l'esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione ed esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione e così del verso umanesimo.
Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza dei sentimenti e l'armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all'uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.
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